Oro, diamanti e pietre preziose sono da sempre fonte di ispirazione per artisti, creativi e artigiani. Nei secoli essi ne hanno esaltato bellezza e desiderabilità nell’immaginario collettivo. Anche il cinema, la cosiddetta settima arte, offre spunti di riflessione e ispira le coscienze. Può addirittura contribuire a inaugurare e animare dibattiti sull’etica e riscrivere equilibri socioeconomici, come quello che governa la filiera diamantifera.
È quello che è successo con “Diamond Blood”. Il film di Edward Zwick nel 2006 è valso a Leonardo Di Caprio la candidatura agli Oscar come miglior attore protagonista. La pellicola ci porta nella Sierra Leone di fine millennio, quando la decolonizzazione postbellica lascia in eredità disordini politici e disparità socioeconomiche nella popolazione.
I diamanti sono al centro di tutto. Le ingenti risorse minerarie presenti su quei territori sono da sempre oggetto di contese che continuano ad alterare gli equilibri geopolitici mondiali. Spesso sono causa di guerre civili, teatro sul quale si consumano le vicende dei protagonisti del film.
Di Caprio è un mercenario attivo nel contrabbando di diamanti. Le sue vicende si scontrano con un pescatore locale deportato in un campo diamantifero controllato dal Fronte Unito Rivoluzionario. Nel mentre, una giornalista americana è intenzionata a portare alla luce i loschi traffici delle multinazionali estrattive che ignorano le condizioni di schiavitù dei minatori e l’addestramento di bambini soldato.
Questo amaro intreccio di cinismo, violenza armata e mancanza di ogni riguardo per l’umanità, rende “Diamond Blood” una vera denuncia. Il film, candidato a 5 premi Oscar, ha acceso l’opinione pubblica circa l’opportunità di assicurarsi e pretendere la provenienza lecita delle pietre preziose acquistate.
Il Kimberly Process, accordo commerciale multilaterale controllato dall’Onu, istituito qualche anno prima dell’uscita del film, è oggi noto al grande pubblico anche grazie al dibattito sorto attorno a “Diamond Blood”.
L’accordo è in vigore dal 1° gennaio 2003 per garantire che i profitti del commercio di diamanti non vengano utilizzati per finanziare gruppi ribelli intenzionati a rovesciare governi riconosciuti dalle Nazioni Unite. Oggi il Kiberly Process vanta la partecipazione dei principali paesi produttori, esportatori e importatori di diamanti grezzi. Il loro impegno congiunto ha contribuito ad assicurare la legittimità del 99,8% del commercio internazionale. Un vero e proprio certificato di garanzia circa la responsabilità sociale delle aziende operanti nel settore diamantifero e dell’intera eticità della filiera.
Tutti i diamanti commercializzati da Diamanti Italia sono provenienti da zone controllate ed esenti da conflitti. Sia quelli certificati da istituti gemmologici internazionali per investimento, sia quelli per il trading e la regalistica aziendale. Per una certificazione di qualità che non prescinda mai da una certificazione etica.