Guarnire i piatti con l’oro non è solo una moda recente ed effimera, e non dovrebbe sorprenderci, guardandoci ancora più indietro, quanto il suo utilizzo in cucina abbia radici antiche e sia stato da sempre oggetto di interesse, curiosità, desiderio di sperimentazione e controversia.
Nell’antico Egitto per i Faraoni veniva preparato il pane mischiando la polvere d’oro all’impasto, e in generale si considerava l’oro un cibo sacro tramite il quale ingraziarsi gli dei, quindi lo scopo del suo impiego nelle preparazioni alimentari era principalmente di natura votiva. Anche in Estremo Oriente, stando ai racconti di Marco Polo, era diffusa la credenza che nutrirsi del prezioso metallo attraesse il favore delle divinità. I romani invece, per i quali i banchetti erano occasione di puro intrattenimento, amavamo essere stupiti con enormi quantità di cibo, che all’epoca, senza troppe remore per la salute dei commensali, veniva addirittura verniciato con una mistura di oro e sostanze nocive, a differenza di oggi il cui utilizzo in ambito alimentare è regolamentato dalla Direttiva 94/36/CE.
Usi analoghi si sono riscontrati in Giappone, dove l’oro era utilizzato principalmente a scopo decorativo, nella pasticceria, ma anche per impreziosire liquori, sake e piatti speciali. Medioevo e Rinascimento hanno visto le corti europee abbracciare le abitudini e usanze più bizzarre, e fra queste sicuramente spiccava la guarnizione del cibo con l’oro e la realizzazione di portate altamente scenografiche per impressionare gli ospiti. E se tanti amavano lasciarsi stupire da queste creazioni culinarie sempre più fantasiose ed estreme, altri non mancavano di manifestare disappunto per quella che veniva considerata una ostentazione poco rispettosa nei confronti delle classi sociali meno agiate.
In diverse culture era anche diffusa la credenza che nutrirsi di oro fosse utile come prevenzione delle malattie cardiache, e che in generale il prezioso metallo avesse dei poteri curativi. Questo vale per i nativi americani, come per gli alchimisti del XV secolo, che iniziarono a proporre pozioni medicinali a base d’oro, nella convinzione fosse un toccasana contro ogni tipo di malanno.
L’abitudine di rivestire i medicinali con la foglia d’oro si diffuse in seguito anche fra gli speziali, al punto che il detto “indorare la pillola”, nell’uso figurato che se ne fa oggi, richiama in realtà il significato originario, ossia quello di rivestire d’oro un boccone che avrebbe altrimenti un sapore amaro, come quello di certe preparazioni farmaceutiche. Al netto di queste credenze, è curioso sapere che l’oro trovi effettivamente una particolare applicazione in ambito farmaceutico, in quanto la sua somministrazione si è rivelata un aiuto efficace nei trattamenti contro l’artrite reumatoide.
L’oro alimentare, nel suo uso attuale controllato e regolamentato, è considerato innocuo e inerte, privo sia di controindicazioni che di particolari proprietà benefiche. Il suo utilizzo in cucina, però, richiede non solo consapevolezza rispetto ai prodotti da scegliere e alle normative vigenti, ma anche un approccio sensibile e responsabile, che valuti come farne uso per stimolare positivamente la vista, che nella percezione del cibo gioca un ruolo importantissimo, senza però mai rischiare di scivolare nel cattivo gusto.
Saper integrare questo speciale ingrediente nelle proprie composizioni senza snaturarle, e impreziosirle con eleganza arricchendole di significati positivi: forse è questa la vera sfida da cogliere per lo chef che vorrà fare dell’oro il suo tocco da maestro.