Il futuro del settore estrattivo potrebbe essere nelle profondità marine dove oggi si cercano nuove miniere d’oro.
L’oro, presente sul nostro pianeta da 3,9 miliardi di anni, si trova sotto forma di granelli di dimensioni variabili su tutta la crosta terrestre. È presente soprattutto nelle rocce di origine magmatica, nei depositi alluvionali e sul fondo degli oceani.
Le riserve ad oggi conosciute sono in lento esaurimento. Lo dimostra la sempre minore concentrazione di oro presente in ogni tonnellata di crosta terrestre setacciata. Dalle miniere più profittevoli si riesce ancora a ricavare almeno un’oncia d’oro per tonnellata di materiale estratto. Ma si tratta di casi eccezionali, con un conseguente aumento degli investimenti necessari per mantenere stabile il quantitativo di oro portato alla luce nel suo complesso. L’offerta di oro sul mercato rimane dunque faticosamente stabile, a fronte di una domanda che non ha smesso di crescere. Anche nei periodi di crisi come quello attuale l’oro si conferma fra i beni rifugio per eccellenza.
Come si stanno evolvendo quindi le più avveniristiche tecnologie estrattive?
La tendenza in corso è quella di determinare la fattibilità riguardo l’uso di miniere sottomarine. C’è quindi chi guarda con sempre maggiore interesse all’oro presente sul fondo degli abissi. Si stima si trovino sommerse 270 milioni di tonnellate di oro, in concentrazioni basse ma dal valore economico senza precedenti. L’agenzia federale statunitense che si occupa di oceanografia, afferma che i fondali custodiscono oro per circa 150 mila miliardi di dollari.
L’origine di queste riserve è dovuta a reazioni chimiche che avvengono in prossimità di soffioni sottomarini situati nelle zone vulcaniche. Si chiamano “black smoker” e con le loro espulsioni di aria caldissima provocano la sedimentazione di minerali sul fondo. I geologi ne hanno già tracciato una potenziale “mappa del tesoro”. Altre riserve sarebbero poi rintracciabili in concentrazioni di rocce sulfuree, depositate sul fondo del mare di Bering per azione della spinta di rapide e torrenti.
L’idea di poter trovare il tesoro in fondo al mare affascina e stimola la curiosità di geologi, scienziati e cercatori d’oro già da secoli. Fu un chimico inglese nel 1872 a intuire per primo l’esistenza di riserve aurifere sottomarine. Da quel momento il dibattito e l’interesse degli scienziati attorno alla questione non è mai cessato. Più recentemente, nel 1977, alcuni ricercatori americani scoprirono le prime riserve sottomarine nell’arcipelago delle Galapagos. Nel 2013 l’Autorità Internazionale per i fondali marini delle Nazioni Unite ha dato ulteriore impulso agli investimenti per le esplorazioni, concedendo ai privati delle licenze per scavare nei fondali.
Non a caso De Beers ha siglato un accordo con il governo della Namibia per condurre esplorazioni nei fondali. In particolare per la ricerca di giacimenti sommersi di oro e diamanti a circa 150 metri di profondità. La canadese Nautilus Minerals ha invece ottenuto una licenza ventennale per esplorare un tratto di mare al largo della Papua Nuova Guinea, a una profondità di 1500 metri. Obiettivo dell’operazione è prelevare, tramite giganteschi e sofisticatissimi macchinari di estrazione comandati dall’imbarcazione di appoggio, 130 mila tonnellate di sedimenti ricchissimi di minerali. Le sorti dell’ambizioso e costosissimo progetto sono però ancora da determinare.
Dovremo quindi attendere le lunghe tempistiche di sperimentazione prima di capire se lo sfruttamento delle riserve sottomarine potrà dirsi sostenibile dal punto di vista economico e geologico, rappresentando il futuro del settore estrattivo. Nel frattempo, da quando abbiamo scoperto l’esistenza del “metallo nobile”, la febbre dell’oro non ha smesso mai di affascinarci, ancor di più adesso che è iniziata la corsa negli abissi.